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La Parola per oggi

Ap 15,1-4; Sal 97; Lc 21,12-19

Ira di Dio: un termine che ad alcuni piace, altri fa inorridire. I primi potremmo chiamarli “giustizialisti”: sono coloro che, pur riconoscendo Dio amore, reputano che ad ogni azione terrena corrisponda una reazione nella vita eterna. I secondi potremmo chiamarli i “colpospugnisti”: essi pensano che se Dio è amore, non potrà che cancellare i nostri peccati, quasi facendo finta che non siano mai stati commessi. Sembra invece che la definizione più corretta di ira di Dio non sia da ricercare in una sorta di rabbia divina, ma nella sua presenza nella storia, che all’occasione usa alcune strettoie della vita per redimerci. Così i sette flagelli sarebbero da ricercare in tutte quelle sofferenze che l’uomo nella sua storia subisce – oggi potrebbe essere la pandemia di Covid – che non sono mandate da Dio ma che possono diventare redentive se le si “sfrutta” in tal senso. Ripeto: non è Dio che le manda, ma l’uomo può “usarne” a proprio vantaggio. Così potranno stare in piedi sul mare di cristallo (il cui significato abbiamo visto qui), nello stesso atteggiamento dell’Agnello vittorioso e a Lui cantare il cantico di Mosè, un cantico che riprende quello cantato durante il passaggio del Mar Rosso ma che ora è definitivo, perché la vittoria è stata conseguita grazie alla Passione, Morte e Resurrezione di Cristo.

Qui il Dies irae di Verdi, una preghiera che decisamente non rassicura né consola, ma ad un certo punto ecco: Recordare Jesu pie, quod sum causa tuae viae, non me perdas illa die; ricordati, Gesù, che sei venuto per salvarmi….

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