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La Parola per oggi

Ap 4,1-11; Sal 150; Lc 19,11-28

Giorgio De Chirico
Litografia per Apocalisse, 1940

Un mare di cristallo, un trono, quattro esseri viventi, ventiquattro anziani su altrettanti seggi con corone d’oro sul capo, un’arcobaleno simile a smeraldo, sette spiriti davanti al trono. Non vi state immaginando la scena? Se fossi un regista teatrale avrei tentato mille volte la messa in scena delle liturgie dell’Apocalisse, probabilmente senza mai riuscirci.

Sapete qual è il bello? Che non c’è bisogno di inscenare nulla: ogni volta che partecipiamo ad una liturgia terrena, noi stiamo davanti « al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele». (Eb 12, 22-24). Non siamo soli, mai. Neppure l’oscurità e l’ignoto, di cui il mare era simbolo per gli Ebrei, ci possono far paura: nel brano odierno dell’Apocalisse il mare è di cristallo, perché Dio vede dentro al buio, all’inospitale, al male, a ciò che sembra non avere senso. Allora le corone sono ormai gettate davanti a lui, anche quelle dei santi e dei giusti, segno che solo a lui appartiene ormai il governo del mondo.

Questa è la bella notizia che ci annuncia l’Apocalisse: Dio ha già vinto, noi dobbiamo solo aspettare e cercare di leggere la storia con i suoi occhi, vivendo una Parola di speranza che va oltre il male e la morte. C’è un’attesa più bella di questa?

Se vuoi puoi ascoltare la Liturgie de cristal tratto dai Quatuor pour la Fin du Temps di Olivier Messiaen e leggere un articolo di Pierangelo Sequeri su questo autore.

Di seguito un accenno alla teologia musicale di Messiaen di Sequeri: Celebrare Oliver Messiaen (1908-1992) significa riprendere nuovamente il confronto tra il linguaggio musicale e il significato della fede nel tempo della prova. Fuori da questa concomitanza, da questo tentativo di accordo, che in Messiaen è risolto nelle forme della dissonanza, noi consegneremmo la riflessione musicale, soprattutto quella religiosa, o alla citazione ideologica del tempo passato o alla banalizzazione annichilente del tempo presente. L’opera Quartetto per la fine del tempo, dalla quale muove la riflessione del dossier, è per Messiaen un «arcobaleno teologico» . Lo stesso rappresentato nell’Apocalisse: «E vidi un altro angelo, possente, discendere dal cielo, avvolto in una nube, la fronte cinta di un arcobaleno» (Ap 10,1). L’ispirazione dell’opera e la circostanza della sua realizzazione (fu scritta nel 1940 ed eseguito nel campo di prigionia di Görlitz, nel gennaio del 1941), manifestano il desiderio umano e religioso della «cessazione del tempo». L’equivalente musicale di questa cessazione del tempo è per Messiaen nel distacco dalle regole ritmiche e metriche, annullando ogni nozione di misura e di tempo, attraverso l’aumento o la diminuzione ritmica, introducendo note, punti, pause in forma asimmetrica. È la figura del «valore aggiunto» cristologico nella dissonanza tra il tempo della storia e l’armonia eterna. (Da Il Regno 10/2008, pag. 341)

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