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La Parola per oggi

Is 30,19-21.23-26; Sal 146; Mt 9,35-10,1.6-8

Il profeta Isaia, Affresco di Vladimir Grygorenko, Holy Ascension Orthodox Church, Charleston, South Carolina

Tu non dovrai più piangere! Ci rendiamo conto di cosa dice Dio per bocca del profeta Isaia al suo popolo? Che non deve piangere, che non deve temere, che non può pensare che Dio l’abbandoni. Queste parole sono dette all’indomani del ritorno dall’esilio del Regno del Nord in Assiria (Israele era diviso in due parti, Regno del Nord e Regno di Giuda, all’incirca corrispondenti con la Galilea e la Giudea). Non sono dette durante un periodo di pace, in riva al lago, sorseggiando mojito e sgranocchiando noccioline americane: Isaia deve confortare il popolo che tenta un’alleanza con l’Egitto per liberarsi definitivamente dagli Assiri, parole pronunciate ad un popolo che ha ancora paura perché ricorda bene cosa sia un esilio. Un po’ come se appena iniziata la vaccinazione per il Covid, il papa in piazza san Pietro dicesse che tutto è finito: lo prenderemmo per matto. Ebbene, in quella (e in questa) situazione Isaia presta la sua persona e la sua capacità di vedere oltre – come vede Dio – e parla, consolando e confortando ma anche correggendo. Sì, correggendo: ha il coraggio di dire che alcune situazioni portano al male e alla schiavitù.

Mostra anche una via d’uscita: stare continuamente alla presenza di sé stessi e di Dio. Con un termine della vita spirituale potremmo dire che insegna a “conoscersi in Dio”. Tribolazioni e affanni non sono risparmiati a nessuno: stare continuamente in Dio riconoscendo contemporaneamente sé stessi, le proprie reazioni, la capacità di fronteggiare alcune situazioni ma anche il riconoscere le debolezze, ci danno la capacità di trovare le vie d’uscita che Dio ci offre, così da non dover mai piangere su noi stessi e sulle nostre fatiche. Così fa il Consolatore d’Israele, il pastore che sente compassione per le sue pecore; non da solo: chiede a noi di collaborare, perché tutti insieme cerchiamo le pecore più deboli e ce ne prendiamo cura, perché come operai appassionati ci preoccupiamo della sua messe. Come? Conoscendoci in lui, rafforzandoci e rinvigorendo la fraternità: proprio essa ci renderà capaci di costruire «come una città inespugnabile», come ci fa pregare un’intercessione dei vespri.

Insegnaci a contare i nostri giorni…

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