Is 63,16-17.19; 64,2-7; Sal 80; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-3
Tu sei nostro padre, sei il nostro goʾel, il nostro redentore, colui che ci riscatterà. Hai amato la nostra libertà più che la tua stessa vita, ci hai lasciati mangiare il frutto del limite nel Giardino delle origini, hai permesso che il nostro cuore vagasse nei deserti dell’egoismo, si inabissasse nel mare dell’egocentrismo, hai lasciato che inquinassimo le relazioni e il creato, perché non sei un despota ma un padre che ama di un amore che noi non conosciamo.
Ma noi siamo argilla nelle tue mani, plasma i nostri cuori, non come un vasaio inavvertito che decide a priori la forma del vaso, ma come un sapiente artigiano che ama quel vaso e sa dove sarà collocato e per questo gli darà forma, dimensione e colore giusto.
Tu ci chiedi la conversione, finché venga il tuo Regno e noi lo possiamo riconoscere. Ci chiedi di vegliare, di ascoltare la voce dei tuoi profeti, da Isaia a Giovanni il battista, che ci ripetono la tua presenza nelle nostre vite, ci danno la capacità di vedere che, sotto traccia, il tuo Regno è già qui.
Signore che sei venuto nella carne ci ricordi che solo chi ha un cuore capace di liberarsi di tutte le preoccupazioni del mondo, di tutti i propri egoismi e i propri tornaconti e di tutte le false libertà, ti saprà riconoscere, tu che sei presente già ora ma che tornerai in pienezza quando la Gerusalemme nuova, definitiva, scenderà dal cielo, adorna come una sposa per il suo sposo. Tu hai dato a ciascuno un dono perché insieme – nella comunità degli uomini e delle donne ma anche del creato intero – possiamo intravedere già che Tu sei in mezzo a noi e ridare giustizia a chi non ce l’ha.
Questo sarà il nostro modo di vegliare, Signore, in questo avvento: una continua invocazione nella preghiera perché tu venga e ci spalanchi le dodici porte della città del cielo, dove tutti potranno entrare; una preghiera che vuole diventare carità e attenzione perché nessuno si possa sentire escluso o emarginato o privo di quei doni che tu ci dai perché li redistribuiamo equamente.
Squarcia i cieli, scendi; apri una breccia nei nostri cuori induriti e tiepidi: allora ti scopriremo presente e sarà gioia grande, anche se per un po’ di tempo dobbiamo ancora vivere l’esilio della terra.
Tu, pastore d’Israele, ascolta,
seduto sui cherubini, risplendi.
Risveglia la tua potenza
e vieni a salvarci.
Ascolta la cantata Du hirte Israel, di J. S. Bach, che riprende le parole del salmo 79, citato qui sopra