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Gentilezza, la nuova parola del papa

Riportiamo un articolo sull’enciclica “Fratelli tutti” di don Antonio Mazzi apparso sul Corriere della Sera il 24 ottobre.

Solo il titolo «Fratelli tutti», mi ha spaventato. Appena ho preso tra le mani l’inserto di Avvenire, mi è caduto addosso il mondo, pezzo per pezzo.Tento di spiegarmi. Per primo mi è caduto addosso papa Francesco e ho dovuto buttare l’inserto per cercare di sostenerlo. Ancora una Enciclica sulla carità, sui poveri, sull’amore, sulla solidarietà, ma con parole non da Papa. È la terza, mentre sulla seconda, «Laudato si’», si sta ancora dividendo il mondo dei quasi cattolici, quelli prefabbricati che si sono fermati al catechismo della prima comunione.

Perché questo mio disagio? Perché i nostri cristiani, quelli doc, non potranno essere fratelli, secondo lo «stile francescano», figli dell’unica famiglia, perché non hanno mai scoperto la paternità di Dio. E laddove non ci sono i padri, oppure i padri sono solo di sangue, ci saranno solo figli iscritti all’anagrafe, che abitano la loro casa, con le porte chiuse.

Abbiamo fatto un grande errore. La nostra religione è la religione del Dio onnipotente, quello dei miracoli, delle grandi cattedrali, dei tabernacoli dorati, dei paramenti «degni» di esser indossati da monsignori, vescovi, cardinali, degli altari persi in fondo alle navate. Le chiese, più che case del Padre, sono luoghi di cerimonie. Perfino la messa, che è il sacramento della cena, molti cosiddetti credenti ci vanno, ma non cenano… Perché anche la messa è una cerimonia, nella quale ascoltiamo più o meno volentieri il prete, facciamo l’elemosina, recitiamo il «Padre Nostro», come recitiamo le poesie, e chi è lì con noi è un fedele. Anche quando ci davamo la mano, l’atmosfera della fraternità era ben lontana, e il banchetto «della cena» rimaneva spesso senza ospiti.

L’enciclica è una miniera infinita di parole semplici, perfino lo stile letterario è evangelico. Io mi sono fermato a tre. Le prime due. Fraternità e paternità, mi hanno obbligato a riprendere in mano i testi del Concilio Vaticano II. La terza, la gentilezza, mi ha spiazzato completamente. E mi ha portato ancora più lontano. Da qualche tempo, soprattutto da quando i mass media sono diventati momenti mediatici della politica e della superficialità, la parola è stata colpita mortalmente.

Certo, questa enciclica non scomoda la grande teologia e la raffinatezza accademica, ma sono semi non ancora germogliati che secondo il Papa dovrebbero scrostare l’involucro che sta soffocando le forze della fraternità. Questo Papa «è eretico», secondo alcuni, perché è più pastore che Pontifex, scrive lettere più che encicliche. Ed è qui che improvvisamente entra un terzo elemento costitutivo della fraternità: la gentilezza. Già le tre parole francesi non erano certo una citazione agostiniana.

A libertà, uguaglianza e fraternità si aggiunge all’improvviso questa parola che fino a ieri veniva catalogata tra le qualità del galateo, della buona educazione oppure, se vogliamo scomodare il catechismo, accodarla alle virtù cardinali. In questa enciclica la gentilezza abbinata all’educazione diventa l’elemento terzo che fa rinascere, crescere e sviluppare paternità e fraternità. La gentilezza come elemento vitale costituente tutte le fraternità.

«La gentilezza è una liberazione dalla freddezza che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, all’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto di essere felici». Cosa gli è saltato in mente a questo Papa di collocare la gentilezza quasi più in alto dell’amore, sella fede, della carità?

La disarmante semplicità di questo Uomo riesce a dare significato pregnante, teologico, tenero dolce, evangelico a parole che fino a ieri lasciavamo scivolare più per «educazione» che per convinzione. «La gentilezza facilita la ricerca di consensi e apre strade dove l’esasperazione distrugge i ponti». Fraternità, paternità, gentilezza, educazione. Possibile che parole mistiche e laiche, teologiche e pastorali, che abbiamo sentito fin dai primi giorni della nostra vita, siano ancora così lontane, così estranee alle nostre azioni quotidiane?

Sembra impossibile, assurdo, eppure sta qui il futuro del mondo. La nostra superficialità e la visione egolatrica e consumistica stava vincendo. Ma poiché niente viene a caso, la situazione nella quale siamo precipitati ci obbliga a leggere gli ultimi decenni della nostra storia al rovescio, ritornando a rileggere lettera dopo lettera fino ad arrivare alla semplicità delle prime parole pronunciate dall’uomo, quando ancora stava facendo le prove per andare su due gambe.

Finisco con una frase di Gianrico Carofiglio, per non sembrare troppo francescano! Parlando di cittadinanza consapevole, l’autore affronta tre temi fondamentali: «La gentilezza come metodo per affrontare e risolvere i conflitti e strumento chiave per produrre senso nelle relazioni umane; il coraggio come essenziale virtù civile e veicolo di cambiamento; la capacità di porre e di porsi domande come nucleo del pensiero critico e, dunque, della cittadinanza attiva». Forse ho sottovalutato una cosa che il Papa e anche Carofiglio non hanno dimenticato: il coraggio di porsi domande. Ecco l’appello del Papa: «Cerchiamo soluzioni insieme e cerchiamo di avviare processi di trasformazione senza paura e guardando al futuro con speranza».

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