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Digiuno e astinenza oggi

Nota pastorale della CEI sulle forme penitenziali. Pubblicata il 4 ottobre 1994, ha ancora alcune forme di attualità, che riportiamo.

Il Concilio e il rinnovamento della disciplina penitenziale

Il Concilio Vaticano 11, nella sua finalità di cammino versola santità e di “aggiornamento pastorale”, chiede che siano rinnovate le disposizioni della Chiesa sul digiuno e sull’astinenza, chia rendone le motivazioni nel contesto attuale della vita cristiana personale e comunitariaAlla richiesta del Concilio risponde Paolo VI con la Costituzione apostolica Paenitemini sulla disciplina penitenziale (1 7 febbraio1966). In essa viene richiamato in particolare il valore della penitenza come atteggiamento interiore, come “atto religioso personale, che ha come termine l’amore e l’abbandono nel Signore: digiunare per Dio, non per se stessi . Da questo valore fondamentale dipende l’autenticità di ogni forma penitenziale.

In questo contesto Paolo VI sollecita tutti a riscoprire e a vivere il collegamento del digiuno e dell’astinenza con le altre forme di penitenza e soprattutto con le opere di carità, di giustizia e di solidarietà: “Là dove è maggiore il benessere economico, si dovrà piuttosto dare testimonianza di ascesi, affinché i figli della Chiesa non siano coinvolti dallo spirito del ‘mondo’, e si dovrà dare nello stesso tempo una testimonianza di carità verso i fratelli che soffrono nella povertà e nella fame, oltre ogni barriera di nazioni e di continenti. Nei paesi invece dove il tenore di vita è più disagiato, sarà più accetto al Padre e più utile alle membra del Corpo di Cristo che i cristiani – mentre cercano con ogni mezzo di promuovere una migliore giustizia sociale – offrano, nella preghiera, la loro sofferenza al Signore, in intima unione con i dolori di Cristo .

Nuove forme penitenziali
Le profonde trasformazioni sociali e culturali, che segnano i costumi di vita del nostro tempo, rendono problematici, se non addirittura anacronistici e superati, usi e abitudini di vita fino a ieri da tutti accettati. Per la pratica dell’astinenza, si pensi alla distinzione tra cibi “magri” e cibi “grassi”: una simile distinzione porta in sé il rischio di allontanarsi da quella sobrietà che appartiene al genuino spirito penitenziale e di ricercare di fatto cibi particolarmente raffinati e costosi, che di per sé non contrastano con le norme tradizionali fissate dalla Chiesa.
Diventa allora necessario ripensare le forme concrete secondo cui la prassi penitenziale deve essere vissuta dalla Chiesa dei nostri giorni perché rimanga nella sua originaria verità. Le comunità ecclesiali, come pure ogni singolo cristiano, sono impegnati a trovare i modi più adatti per praticare il digiuno e l’astinenza secondo l’autentico spirito della tradizione della Chiesa, nella fedeltà viva alla loro originalità cristiana.
Questi modi consistono nella privazione e comunque in una più radicale moderazione non solo del cibo, ma anche di tutto ciò che può essere di qualche ostacolo ad una vita spirituale pronta al rapporto con Dio nella meditazione e nella preghiera, ricca e feconda di virtù cristiane e disponibile al servizio umile e disinteressato del prossimo.
Il nostro tempo è caratterizzato, infatti, da un consumo alimentare che spesso giunge allo spreco e da una corsa sovente sfrenata verso spese voluttuarie, e, insieme, da diffuse e gravi forme di povertà, o addirittura di miseria materiale, culturale, morale e spirituale. In particolare, il divario tra Nord e Sud del mondo presenta abitualmente una diversità di condizioni economiche e sociali veramente spaventosa. A fronte di paesi e nazioni del Nord del pianeta, dove vige un tenore di vita molto alto, intere popolazioni del Sud vivono in condizioni subumane di povertà, di malattia e di miseria.
In questo contesto, il problema del digiuno e dell’astinenza si collega, a suo modo, con il problema della giustizia sociale e della solidale condivisione dei beni su scala nazionale e mondiale. È in questione allora la responsabilità di tutti e di ciascuno: anche la singola persona è sollecitata ad assumere uno stile di vita improntato ad una maggiore sobrietà e talvolta anche all’austerità, e nello
stesso tempo capace di risvegliare una forte sensibilità per gesti generosi verso coloro che vivono nell’indigenza e nella miseria. Il grido dei poveri che muoiono di fame non può essere inteso come un semplice invito ad un qualche gesto di carità; è piuttosto un urlo disperato che reclama giustizia ed esige che i gesti religiosi del digiuno e dell’astinenza diventino il segno trasparente di un più ampio impegno di giustizia e di solidarietà: “Lontano da me il frastuono
dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne” (Am 5,23 – 24).

Il digiuno e la testimonianza di carità

– Lo stile, con il quale Gesù invita i discepoli a digiunare, insegna che la mortificazione è sì esercizio di austerità in chi la pratica, ma non per questo deve diventare motivo di peso e di tristezza per il prossimo, che attende un atteggiamento sereno e gioioso. Questa delicata attenzione agli altri è una caratteristica irrinunciabile del digiuno cristiano, al punto che esso è sempre stato collegato con la carità: il frutto economico della privazione’ del cibo o di altri beni non deve arricchire colui che digiuna, ma deve servire per aiutare il prossimo bisognoso: “I cristiani devono dare ai poveri quanto, grazie al digiuno, è stato messo da parte”, ammonisce la Didascalia Apostolica. In questo senso il digiuno dei cristiani deve diventare un segno concreto di comunione con chi soffre la fame, e una forma di condivisione e di aiuto con chi si sforza di costruire una vita sociale più giusta e umana.Anche all’interno del nostro Paese, dove permangono e “per certi versi si accentuano acute contraddizioni, come le molteplici forme di povertà, antiche e nuove , la Chiesa si sente interpellata a rivivere e riproporre, nello spirito del vangelo della carità, la pratica penitenziale come segno e stimolo concreto a farsi carico delle situazioni di bisogno e ad aiutare le persone, le famiglie e le comunità nell’affrontare i problemi quotidiani della vita.

Così, i digiuni che accompagnano alcune manifestazioni pubbliche, come sono le assemblee di preghiera e le marce di solidarietà, possono sollecitare persone e famiglie, ma anche comunità e istituzioni, a trovare risorse da mettere a disposizione di organismi impegnati in opere di assistenza e di promozione sociale. In tal modo è possibile realizzare iniziative di soccorso per i più poveri, come i servizi di prima accoglienza o i sostegni domiciliari per le persone anziane, e nello stesso tempo sensibilizzare le comunità alle esigenze della pace, rendendole accoglienti e solidali con le vittime della violenza e delle guerre.


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